Introduzione all’induismo
L’induismo è innanzitutto una grande cultura, un modo di vivere e di essere, di nutrirsi e di amare.
L’induismo è innanzitutto una grande cultura, un modo di vivere e di essere, di nutrirsi e di amare, ma è anche un insieme di esperienze religiose dissimili tra di loro, pur se legate da una trama comune; esso è da sempre abituato alla pacifica convivenza con la diversità, vista non come “l’altro da sé” , ma – al contrario – come volto osservato da una prospettiva diversa della stessa Verità, della medesima Verità.Il linguaggio della Verità, almeno in India, è sempre ambivalente, poiché ogni determinazione costituisce, necessariamente una limitazione. Proprio per questo Dio è – ad un tempo – padre e figlio, giorno e notte, maschio e femmina, fame e sazietà, luce e tenebre, suono e silenzio.Solo in questa “con–fusione” è possibile trovare la Totalità…
1. Una religione senza inizio e senza fine
Il sanatana dharma è la norma eterna pre-esistente a ogni forma di rivelazione e manifestazione. E’ eterno, sempre esistito: non può essere manipolato dall’uomo. Perciò è detto apaurusheya (sovrumano, oltre la conoscenza ordinaria; Conoscenza Sacra).
Il sanatana dharma è la religione che non è stata rivelata da nessun uomo, che ricorre nei cicli dell’universo, determina l’armonia delle leggi del cosmo e riconosce il bisogno innato dell’uomo di cercare Dio. E’ eterno e i suoi valori essenziali sono immutabili nel tempo. E’ universale e in esso troviamo tutti i concetti etici, morali, filosofici ed esoterici presenti in ogni linguaggio spirituale. E’ rivolto a tutti gli esseri viventi, in qualunque luogo o tempo. È stato, infatti, percepito dai veggenti che, dal vasto oceano della Conoscenza senza fine, seppero estrarne un’essenza, ma sufficiente a promuovere il benessere, la felicità e la salvezza dell’essere umano: il Veda.
Il Veda non è la rivelazione di Dio ma il suo stesso suono, la sua stessa vibrazione. Veda significa Conoscenza Suprema, nella sua forma trascendente, luce, Dio.
“All’inizio il non esistente non era, nè era l’esistente; la terra non era nè il firmamento, nè ciò che è oltre; non vi era nè morte nè immortalità; non vi era segno nè della notte nè del giorno. Quell’Uno respirava senza estraneo respiro, con la propria natura, oltre a lui non vi era nulla. All’inizio sorse la divina volontà, questo fu il primo seme della mente del Creatore. Quelli che possono vedere oltre, unendo la loro mente al loro cuore, trovano il vincolo che lega l’esistente al non esistente, il non esistente esistendo nell’esistente.” (Nasadya Sukta)
2. L’induismo è una religione monoteista
“Dio è Uno, ma i saggi lo chiamano con nomi diversi” (Rig Veda, I, 164)
L’ induismo afferma l’esistenza di un unico Dio, che si esprime in infiniti modi e forme, affinchè ogni essere umano possa trovare la via per farne esperienza.
“Conosce la verità chi conosce questo Dio come Uno. Nè secondo, nè terzo, nè quarto Egli è chiamato; nè quinto, nè sesto, nè settimo Egli è chiamato; nè ottavo, nè nono, nè decimo Egli è chiamato; Egli sopravvive a tutto ciò che respira e non respira; Egli possiede il potere supremo. Egli è Uno, Uno solo, in Lui tutti i poteri divini diventano Uno soltanto.” (Atharva Veda)
3. Unità nella diversità
L’induismo è una religione estremamente liberale, tollerante e universale. Composto da una miriade di fedi, culture e filosofie, unisce milioni di persone nel mondo, attorno a grandi principi di base, rispettando le reciproche diversità e valorizzando la particolarità di ogni individuo.
“Vedi l’unità nella diversità, l’Uno divino appare in molte forme, immensa è la sua vastità, indescrivibile la sua gloria. Tutte le infinite terre, i soli e i pianeti che sono visti e quelli oltre la nostra percezione, esistono per suo comando. Accesa in varie forme, l’eterna fiamma è Una. Illuminando il mondo con i raggi dorati all’alba, dipingendo le nubi della sera con cangianti colori, il sole è Uno.” (Rig Veda)
4. Le principali tradizioni spirituali
Dio è Uno e appare in molte forme, ma ogni forma è Dio stesso. Nell’induismo rinveniamo ogni tipo di visione teologica, dal dualismo teistico al più assoluto monismo. AI suo interno vi è posto per tutti, nessuno escluso.
Tra le molte tradizioni spirituali e religiose esistenti, fondate sulle sacre scritture e sull’insegnamento dei Maestri, ve ne sono quattro, le più diffuse, riferite alle divinità più popolari. Esse sono rispettivamente: la tradizione shaiva, riferita al dio Shiva; quella shakta, riferita alla Shakti o Madre divina; la ganapatya, riferita al dio Ganesha; quella vaishnava, riferita al dio Vishnu.
Si ricorda inoltre il culto Smarta (seguaci della Smriti, la tradizione più ortodossa) che – in una forma sincretica di culto – unisce le cinque maggiori tradizioni religiose: oltre alle quattro appena menzionate anche il culto di Surya (culto saura).
“Un lago ha diverse rive. Ad una, gli hindu con vasi attingono I’acqua e la chiamano jal, ad un’altra i musulmani I’attingono con otri di cuoio e la chiamano pani. Ad una terza i cristiani e la chiamano acqua. La sostanza è una anche se chiamata con nomi differenti: perciò ognuno ricerca la stessa sostanza. Solo il clima, l’indole ed il nome creano le differenze. Lasciate che ogni uomo segua la sua via.” (Ramakrishna )
5. Karman vuol dire responsabilità
Il karman è la legge di causa ed effetto universale. Ogni azione, ogni pensiero, ogni emozione lascia in noi una “impronta”, una “traccia” , una “impressione” (samskara). Pensieri, azioni, desiderii buoni lasceranno “impronte” positive; pensieri, azioni, desiderii cattivi, lasceranno “impronte” negative. Queste “impressioni”, questi “semi” produrranno “frutti”, in questa o nella prossima esistenza. Il karman, dunque, costituisce la causa, non solo della reincarnazione dell’anima umana in un altro corpo, ma, anche, del tipo e qualità della reincarnazione. Il karman, principio di causalità è il frutto dell’azione.
La nostra esistenza attuale è il frutto dei “semi”, delle “impressioni” accumulate nelle precedenti vite. D’altra parte – se nella presente esistenza – continuiamo a produrre karman, avremo ineluttabilmente altre reincarnazioni.
L’unico modo per sfuggire alla legge del karman, a continue esistenze, consiste nel non “produrlo” più. Quindi ogni nostra azione deve essere sempre in armonia con il dharma. La legge del karman non è rassegnazione o fatalismo, ma responsabilità nell’agire: “ciò che si semina si raccoglie”. La sofferenza nasce dall’avidya, cioè dall’ignoranza metafisica, che genera l’illusione (maya), dal non conoscere la nostra vera natura. Seguendo il dharma e attraverso l’agire disinteressato, il distacco dal frutto dell’azione (vairagya), l’uomo supera i condizionamenti da sé stesso generati e conquista l’unica vera libertà, quella dal proprio ego.
“È detto che una persona consiste di desideri. Come è il suo desiderio, così è la sua volontà. Come è la sua volontà, così è la sua azione. Qualsiasi azione si compia, quella darà frutto. Come si agisce così si diventa. Si diventa virtuosi per azioni virtuose, si diventa cattivi per azioni cattive.” (Bhagavadgita)
6. Samsara, il ciclo delle esistenze
La nascita e la morte altro non sono che momenti di mutamento nell’eterno flusso della vita. Samsara, ciclo perenne del divenire, (nascita – morte – rinascita: nuova vita e ancora morte, e così sino alla liberazione).
La fruizione dei desideri accumulati nelle vite passate è la spinta essenziale che determina il fenomeno del ritorno del jiva in un altro corpo.
“Come un uomo smettendo i vestiti usati, ne prende altri nuovi, così I’ anima incarnata, smettendo i corpi logori, viene ad assumerne altri nuovi.” (Bhagavadgita)
7. Le scritture
8. Purushartha: i quattro scopi della vita
I purushartha sono i principi che regolano la vita dell’uomo nel suo divenire: il loro conseguimento mira alla realizzazione di un’esistenza felice, soddisfacendo i bisogni materiali e spirituali in armonia con le norme etiche (dharma) e in vista dello scopo ultimo (moksha).
9. Festività religiose
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10. Il concetto fondamentale di Dharma
Il termine induismo non è di origine indiana: esso deriva da hindu, parola con la quale le antiche popolazioni iraniche tentavano di indicare il nome sanscrito del fiume Indo (sindhu). Successivamente gli inglesi, dal termine hindu, coniarono l’astratto hinduism, da cui poi deriverà il nostro induismo.
Gli hindu, per la propria religione, non usano mai questo termine. Si riconoscono soltanto nell’ espressione sanatana dharma.
La parola dharma è estremamente difficile da tradurre in qualsiasi lingua occidentale per la molteplicità dei significati che possiede nel suo contesto originario. La nozione di dharma, infatti, coincide solo in parte con quella occidentale di religione ed appare pertanto indispensabile avvicinarsi alla sua comprensione attraverso una concisa analisi delle categorie concettuali che essa evoca.
Dharma deriva dalla radice sanscrita dhr che vuol dire “sostenere, mantenere”. Dharma è dunque quella “norma”, quella “legge” che determina e sostiene l’ordine cosmico nella sua totalità. In altri termini è quella “norma” trascendente che fa sì che le cose (il cosmo, la natura, l’uomo, ecc.) siano come in effetti sono e non altrimenti. E’ in conseguenza del dharma, infatti, che i corpi celesti seguono le loro orbite, che le caratteristiche di una rosa, di un animale, dell’uomo sono quelle che, in effetti, sono. Il profumo è il dharma della rosa, come pure la sua crescita, il fiorire del suo bocciolo e il suo inevitabile appassire.
Il dharma non è solo “norma” nel senso appena delineato. Esso è anche verità (satya). Anzi si può dire che il dharma è la verità e che la verità è il dharma. Afferma, infatti, uno dei testi più autorevoli della tradizione hindu, il Mahabharata, che “la verità è il dharma eterno” e che “la verità è il dharma, l’ascesi, lo yoga; la verità è l’eterno Brahman”.
In altre parole il dharma è totalità. Esso è sì “norma”, “ordine cosmico” ma è anche giustizia, l’insieme dei valori morali e, quindi, l’assenza di violenza (ahimsa), verità, amore. E’ protezione della natura e di ogni essere vivente. E’ il divino che si manifesta in varie forme, negli uomini come nelle piante o nel regno minerale non esistendo nel pensiero hindu la dualistica contrapposizione spirito / materia poiché la stessa materia è permeata dal soffio dello spirito e perché tutto è vita, sia pure a diversi livelli. Proprio per questo motivo il termine “materia” (nel senso occidentale di “materia inanimata” contrapposta alla vita e allo spirito) non esiste nella lingua sanscrita per la decisiva ragione che non esiste il concetto relativo.
La nozione di dharma comprende anche quella di equilibrio ed armonia cosmica. Per l’induismo, infatti, ogni cosa, ogni azione, ogni pensiero è “collegato”, è in relazione con tutto il resto. Non vi è niente di veramente separato, scisso nell’universo. Proprio per questo una azione dharmica (cioè in armonia con il dharma) produce effetti benefici nel cosmo intero mentre una adharmica lo danneggia.
Sanatana vuol dire eterno, perenne. Tale aggettivo connota già il dharma: esso è stabile, immodificabile rispetto alla mutevolezza della storia poiché è sottratto a qualsiasi divenire; ciò che cambia è, invece, la sua effettiva applicazione nel mondo caratterizzato da un susseguirsi di cicli cosmici ciascuno dei quali subisce un progrediente declino del dharma (nel senso della sua completa attuazione) lasciando sempre maggior “spazio” all’adharma, cioè ad attitudini e a comportamenti che sono contrari e opposti al dharma e che, proprio per questo, generano sofferenza, dolore, instabilità.
Il Sanatana dharma è dunque quell’insieme di norme – divine ed eterne – che sostengono e nutrono la vita, intrinseche alla natura stessa dell’universo. Esse, se osservate, preservano l’uomo dal dolore e dalla sofferenza e, progressivamente, lo conducono alla Liberazione (Moksha, Mukti).
Templi induisti in Italia
Tempio di Shri Lalita Tripurasundari
Tempio di particolare importanza per la sua struttura (tipica del sud dell’India) e la sua ricca rappresentazione iconografica e yantrica (disegni geometrici di carattere simbolico). Oltre alle divinità principali, la Devi, la Madre divina, e molte altre divinità femminili protettrici, al suo interno si trovano: un linga, simbolo di Shiva, di 1080 kg, rappresentazioni di Ganesha, i Navagraha (con funzione di protezione), rishi e avatara rivelatori della Sri Vidya.Il devoto può partecipare all’attività del tempio in vari modi: portando offerte in particolari occasioni, come compleanni o momenti importanti della vita; esprimendo la sua bhakti (devozione) attraverso canti, meditando, svolgendo la propria pratica o lo studio delle scritture.”Io medito nel loto del mio cuore sulla Divina Madre la cui forma ha lo splendore del sole nascente, le cui mani sono tenute nel gesto di dare protezione e prosperità, la cui forma è l’incarnazione della pace e il cui volto sorridente è come un loto sbocciato.”(Stotranjali)
Tempio di Dattatreya
Tempio dedicato al Signore Dattatreya che esprime la sintesi della Trimurti: Brahma (il Creatore), Vishnu (il Conservatore), Shiva (il Cambiamento); egli è considerato il rivelatore della tradizione della Sri Vidya.